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Un luminoso tracciato fatto di dieci capitoli a cavallo fra standard e rielaborazione, fra idee chiare da sviluppare e, al contempo, ricezione di spunti multiformi. Tenendosi ben distante dall’ormai polverosa etichetta di world-music. Ma, anzi, giocando ad inquadrare in una salda struttura jazz tante piccole, eterogenee variazioni. Dotazione: l’uso sapiente e discreto, ma delizioso, di contrabbasso e basso elettrico, oltre che la chiara abilità polistrumentistica. Affianco, un gruppo di ottimi musicisti – da segnalare almeno le chitarre di Andrea Allione, già con Paolo Conte. Tutti insieme a Francesco Bertone per un jazz che, se a tratti sfiora la fusion (”Hip Hop, I Hope”, “Rispettare l’enorme”) e in altri momenti si fa melodico e sinuoso, quasi carioca nelle sue soffici colorazioni (“Controluce”, rielaborata in “Stradastratta”, “Mamadou” ed anche l’irriconoscibile davisiana “All Blues”), mantiene la propria abilità esattamente in questa sua ibridazione: un po’ salseiro, un po’ cantautorale, un po’ dalle parti di Pastorius (“Estate ‘78”, magnifica, interamente suonata da Bertone), a tratti del tutto libero ed a tratti più inquadrato. Molto concentrato sull’individuazione di riff e giri di grande impatto, triturati poi nell’avanzare dei pezzi con l’aggiunta progressiva e crescente di ulteriori minuzie strumentali. Basso e contrabbasso sono suonati in ogni salsa, dallo slap all’archetto. Senza mai esagerare, senza alzare la voce ma riuscendo ad emozionare con la forza della perfezione e della cesellatura.

La redazione (Dicembre 2006)